giovedì 5 giugno 2008

Estratto da liberazione(discussione al vertice fao sulla questione dei biocarburanti)

Ivan Bonfanti
Se l'impennata dei prezzi alimentari è stata la protagonista ufficiale del vertice Fao, in un modo o nell'altro la materia del contendere e al centro delle polemiche più sentite si è tradotta soprattutto in una parola: biocarburanti. Poco o nulla si è infatti discusso delle politiche alimentari del Nord del mondo, dei sussidi statali, dell'aumento della domanda o del ruolo letale del mercato dei futures, i titoli speculativi sul mercato alimentare, tutti temi che concorrono - se non di più, almeno quanto i biofuel - alla crisi del cibo che ha già fatto sentire effetti negativi in oltre 30 Paesi con carestie, razionamento del riso e rivolte popolari contro i prezzi troppo alti, con un vortice che minaccia di allargarsi ad altre aree del mondo. Che la poderosa crescita delle coltivazioni destinate alla produzione di biocarburanti abbia avuto un impatto sulla corsa al rialzo dei prezzi delle derrate alimentati è opinione condivisa, ma sull'entità di questo impatto le analisi divergono in modo brutale. A seconda degli interessi particolari, naturalmente. Cosa sono I biocarburanti possono essere di vario tipo. Usano l'energia contenuta nei materiali organici - cereali come canna da zucchero o frumento - per produrre combustibili alternativi a quelli basati sul fossile come il petrolio. Il bioetanolo è il più diffuso, ma vi è anche il biometanolo, il bioidrogeno, il biodiesel, gli idrocarburi sintetici e gli olii vegetali. Le prime produzioni risalgono a circa 30 anni fa.Perché NoSecondo il fronte contrario ai biocarburanti, largamente maggioritario (quello favorevole è limitato quasi esclusivamente a chi li produce), la produzione di bioetanolo e simili avrebbe contribuito con un poderoso 40% alla crescita dei prezzi del riso. I critici accusano inoltre la produzione di biocarburanti come sostanzialmente «immorale», perché sottrae campi destinati all'agricoltura rimpiazzandoli con un business destinato fondamentalmente all'uso di automobili. La crescita del biofuel, dicono, è alla base della crescita smisurata dei prezzi degli alimentari. Tra i critici, gli esponenti più attivi sono stati in questi due anni il direttore generale della Fao, Jacques Diouf, e il relatore speciale sul diritto all'alimentazione per la Commissione sui diritti dell'uomo delle Nazioni Unite, lo svizzero Jean Ziegler.Altro elemento di critica è il consumo sfrenato di acqua, con una statistica approssimativa che indica in circa 4mila i litri di acqua necessari per produrre un solo litro di biodiesel. Alla fine del processo produttivo, sostengono un bel po' di ricercatori ed esperti del settore, il bioetanolo consuma più energia di quanta se ne ricavi in seguito dalla combustione. Secondo Coldiretti, ad esempio, per soddisfare la domanda energetica degli automobilisti italiani (nel nostro Paese sono presenti la mostruosità di ben 35 milioni di macchine), gli oltre 13 milioni di ettari di superficie coltivabile in Italia non sarebbero neppure sufficienti. Si tenga inoltre presente che la produzione dei biocombustibili, fino ad oggi, gode di sussidi superiori a quelli che si possono ottenere producendo cereali per il mercato alimentare - che già di partenza è meno redditizio dei biocombustibili, con una tendenza che promette solo rialzi.L'International Food Policy Research Institute (Ifpri), ha concluso che «i biocarburanti hanno contribuito fino ad oggi almeno del 30% al rialzo dei prezzi alimentari. Il primo effetto, il più diretto, è la sottrazione di terre che prima erano destinate al frumento o ad altre produzioni agricole». Conclusioni del tutto simili a quelle di Barbara Stocking, responsabile dell'Oxfam, che ieri ripeteva a delegati e cronisti: «E' assurdo continuare a sovvenzionare una energia fatta a scapito della produzione alimentare, in un mondo dove milioni di persone continuano a morire di fame. Per fare il pieno di un Suv ci vuole esattamente tanto etanolo quanto il grano che sarebbe sufficiente a riempire lo stomaco di una persona». Nel 2006 ben 100 milioni di tonnellate di cereali sono state spostate dal consumo alimentare a quello energetico. Un punto cruciale, sottolineato dal direttore Fao Jacques Diouf, che ha accusato anche le politiche di sussidi: «Nessuno capisce come 11- 12 miliardi di dollari di sussidi nel 2006 e politiche di tariffe agevolate abbiamo avuto l'effetto di spostare 100 milioni di tonnellate di cereali dal consumo umano soprattutto per soddisfare la sete di biocarburanti». Un altro pericolo in agguato - spiegano i contrari - è quello legato al rischio di danneggiare la biodiversità: alcuni operatori stanno deforestando la Malesia per fare piantagioni a canna da zucchero o olio da palme. Per questo l'Ue sta predisponendo delle certificazioni ambientali che dovrebbero offrire delle garanzie sui biocarburanti importati. Perché SìIn parte il biofuel ha contribuito sulla crisi alimentare - ammettono anche i più strenui difensori della produzione - ma il suo impatto non supererebbe il 5%. Il presidente brasiliano, Luis Ignacio Lula da Silva, nella sala congressi della Fao ha difeso con forza la scelta del Brasile, che si è buttato sui biocarburanti sfruttando anche un clima favorevole soprattutto alla canna da zucchero per il bioetanolo. All'oggi il Brasile è il primo produttore al mondo, al suo interno i biocarburanti riescono a soddisfare circa il 40% della domanda energetica per il trasporto. A Roma Lula ha contrattaccato: «Incolpare i biocarburanti o l'etanolo per la crescita dei prezzi dei prodotti agricoli è strumentale». «Trovo quindi paradossale che a guidare la guerra alla biocarburanti siano gli stessi che per decadi hanno mantenuto politiche protezioniste volte a mantenere alti i prezzi agricoli con una politica del profitto che ha affamato i contadini del Sud del mondo». Da tutt'altra ottica, ma sempre favorevole nelle conclusioni, la posizione degli Stati Uniti, altro Paese produttore (con larghe sovvenzioni). Anche il segretario Usa all'agricoltura, Ed Shafer, ha detto che «non sono i biocarburanti ad aver spinto al rialzo i prezzi di alimentari e derivati. Semmai la vera domanda sui biofuel riguarda l'impatto energetico e il consumo di acqua». Inoltre, fanno notare i produttori, il biocarburante è rinnovabile, dal momento che i campi sono riutilizzabili, anche se questa affermazione non tiene conto delle energie (acqua in primis) che vengono usate per le coltivaziuoni e che non sono affatto rinnovabili. Infine, sostengono i favorevoli, i biocarburanti darebbero la possibilità di combattere l'effetto serra, dal momento che inquinerebbero meno. Inquinano?Eppure anche sull'impatto del combustibile nell'atmosfera le posizioni sono discordanti. La prima realtà è che anche i biocarburanti inquinano, ma la maggior parte dei biofuel rilascia meno carbon fossile dei derivati dal petrolio. Permangono tuttavia delle differenze. Il bioetanolo prodotto in Brasile dalla canna da zucchero inquina circa l'80% in meno del petrolio. Quello prodotto negli Stati Uniti dal frumento, al contrario, rilascia solo il 10% in meno di emissioni di gas serra, ma senza contare i combustibili e i fertilizzanti che vengono adoperati per produrlo, dunque siamo al livello del petrolio, o giù di lì. Un chilo di biodiesel di prima generazione da soia o colza emette invece circa la metà del Co2 rilasciato dell'aria da un chilo di gasolio. Rispetto al petrolio tuttavia il biodiesel rilascia nell'atmosfera un numero decisamente inferiore (circa il 70% in meno) di benzopireni (idrocarburi aromatici polinucleati), così come non ha emissioni di diossido di zolfo e il suo carburante ha un'incisività minore (quasi la metà) nell'emissione di polveri sottili. Tuttavia per produrli è stato spesso necessario deforestare aree boschive, che non solo emettono energia pulita ma hanno soprattutto il vantaggio di trattenere una rilevante quantità di carbon-fossile.

mercoledì 4 giugno 2008

massoneria deviata e 'ndrangheta

MASSONERIA DEVIATA E ‘NDRANGHETA
di Stefano Russo

Senza la pretesa di essere esaustivo, mi soffermerò su un'altra questione intimamente connessa al sistema mafioso: la massoneria deviata.
Ogni qual volta in Calabria succede un fatto mafioso, grave o meno, il mondo politico cerca di defilarsi ovvero si nasconde dietro le parole come “Stato” “Democrazia”, oppure organizza dibattiti, spot politici senza scendere nel ventre della bestia che sta divorando e cercando di impaurire l’altra parte della Calabria: quella onesta, quella giovane, quella che è la maggioranza.
In Calabria i dati sulla condizione sociale sono preoccupanti: il 30% di lavoro nero, il 40% di disoccupazione, e i nostri politici, calabresi e non, che fanno? Dovrebbero dare risposte certe, essere la guida del risveglio economico-sociale, dare esempi etici e non clientelari… E invece, apprendo che una parte di loro è facilmente corruttibile, iscritta nei registri della procura per associazione mafiosa, collegata alla massoneria deviata (che impera nella nostra città), chiede voti ai mafiosi in cambio di favori, adotta sistemi clientelari: in altre parole, usando un termine manzoniano, sono dei “Bravi”.
Il dott. Boemi, magistrato antimafia, ha descritto in questi termini l’evoluzione della ‘ndrangheta: «L’affiliazione calabrese avviene in due modi. In Calabria si diventa mafiosi per generazione, per casato, per discendenza, per il semplice fatto di essere nato in una famiglia mafiosa. Si diventa mafiosi però anche per esigenza, in mancanza di lavoro, per l’assoluta impossibilità di avere di fronte uno Stato che risponda nei modi essenziali alle esigenze di vita di un giovane.» Una risposta ai giovani potrebbe essere quella di un salario minimo garantito (con gli adeguati controlli). Si darebbe l’opportunità di sganciarsi dai lavori al nero e lavori illegali.
Un altro sarebbe quello di aprire centri d’aggregazione sociale e culturale (nella nostra città manca il teatro, esiste solo un cinema, non esistono aule polifunzionali o un centro multimediale pubblico). Dai politici vogliamo queste risposte e non quelle che ci sono date dai massoni. La massoneria è stata spesso legata a doppio filo con la mafia. Lo scrive ancora il procuratore Boemi: «pericolosi mafiosi legati a famiglie potentissime sono massoni e tramite la stessa riescono ad agganciare il mondo politico.» In uno dei rapporti antimafia si legge: «Alla fine degli anni 70 iniziano ad essere segnalate dalla magistratura ipotesi di collegamenti occulti tra criminalità organizzata calabrese e massoneria, quali segnali preoccupanti di una nuova forma d’inserimento nei circuiti del potere.»
Nella seconda metà degli anni Settanta la 'ndrangheta si trova di fronte ad un bivio: continuare ad essere un’organizzazione criminale dedita ad estorsioni e sequestri di persona, oppure fare un salto di qualità e inserirsi nei circuiti del potere per trasformarsi in “mafia imprenditrice”, in soggetto economico e politico autonomo, capace di interloquire con i rappresentanti delle istituzioni, delle amministrazioni pubbliche, dei partiti, e offrire i propri “servizi” nel settore degli appalti, nella raccolta dei consensi elettorali, e così via. Per fare questo la 'ndrangheta si trovò nella necessità di creare una struttura nuova, elitaria, una nuova dirigenza, estranea alle tradizionali gerarchie dei "locali", in grado di muoversi in maniera spregiudicata, senza i limiti della vecchia onorata società e della sua subcultura, e soprattutto senza i tradizionali divieti, fissati dal codice della 'ndrangheta, di avere contatti d’alcun genere con i cosiddetti "contrasti", cioè con tutti gli estranei alla vecchia onorata società. Nuove regole sostituivano quelle tradizionali, che non scomparivano del tutto, ma che restavano in vigore solo per la base della 'ndrangheta, mentre nasceva un nuovo livello organizzativo, appannaggio dei personaggi di vertice che acquisivano la possibilità di muoversi liberamente tra apparati dello Stato, servizi segreti, gruppi eversivi. L'ingresso nelle logge massoniche esistenti, o in quelle costituite allo scopo, doveva dunque costituire il tramite per quel collegamento con ruoli e funzioni appartenenti a figure sociali per tradizione aderenti alla massoneria, vale a dire professionisti (medici, avvocati, notai), imprenditori, funzionari della Pubblica Amministrazione, uomini politici, rappresentanti delle istituzioni, tra cui magistrati e dirigenti delle Forze dell'ordine. Attraverso tale collegamento la 'ndrangheta riusciva a trovare non soltanto nuove occasioni per i propri investimenti economici, e per le proprie movimentazioni finanziarie e bancarie, ma sbocchi, prima impensati e impensabili, nella politica e nell'Amministrazione e, soprattutto, quella copertura, realizzata in vario modo e a vari livelli (depistaggi, vuoti d’indagine, attacchi d’ogni tipo ai magistrati non arrendevoli, aggiustamenti di processi, etc.) cui è conseguita per molti anni non solo una sostanziale impunità della 'ndrangheta, ma anche una sua capacità di rendersi invisibile alle istituzioni…
Mi domando come mai nessun partito o leader politico abbia parlato nella propria campagna elettorale di mafia.
Marcello Dell’Utri, uno dei fondatori di Forza Italia, è stato condannato in primo grado per mafia. Poteva essere un argomento di campagna elettorale potentissimo, ma nessuno ha osato. La lotta alla mafia non sarà mai una priorità nè per il centrodestra nè per il centrosinistra.
Cari lettori resistete: la mafia potrà essere sconfitta solo se nei nostri comportamenti e ragionamenti quotidiani essa rimarrà emarginata e rifiutata… resistete, ribellatevi, lottate ovunque siate…

martedì 3 giugno 2008

18 POLITICO PER TUTTI

I giovani comunisti di casal bruciato appoggiano, sostengono e si impegnano a diffondere la petizione in atto che l’unione degli universitari di Roma ha avviato.
Riteniamo legittimo che tutti gli studenti fuori sede non residenti paghino l’abbonamento ai servizi di trasporto pubblico 18 euro anziché 30.
La sperequata situazione vigente lascia gli studenti fuori sede in una posizione deteriore rispetto agli studenti residenti

Invitiamo tutti i compagni e le compagne, studenti e studentesse a diffondere e sottoscrivere la petizione direttamente sul sito dell’ “uduroma”: http://www.uduroma.altervista.org/

Vincere questa battaglia consentirebbe di far risparmiare a migliaia di studenti molti soldi.

Grazie a quanti sosterranno questa piccola grande lotta.

I GIOVANI COMUNISTI DI CASAL BRUCIATO

Qui di seguito il testo dell’appello:
parte la campagna: 18 politico per tutti/e


Roma conta più di 10 università, fra pubbliche e private, per un ammontare di 275mila studenti universitari, che giornalmente si spostano per la città, dalla periferia al centro e dai paesi limitrofi all'urbe come nel caso degli studenti pendolari.
La mobilità degli studenti non può essere gestita semplicemente come servizio accessorio, ma è necessario affermare il principio che il diritto alla mobilità è una componente fondamentale del diritto allo studio, in quanto garantisce ad ogni studente la possibilità di seguire il proprio percorso di studi, indipendentemente dalla città di residenza.
Per questo riteniamo che il Comune di Roma e l’agenzia A.T.A.C, che ne gestisce i trasporti, violino questo principio. L'abbonamento ridotto a 18 euro piuttosto che a 30 è concesso solo a studenti al di sotto dei 26 anni, che siano residenti nel comune di Roma o vincitori di borsa di studio....

Dagli affitti in nero all'abbonamento dell'autobus lo studente fuori sede è considerato come un fantasma dalla città di Roma, che troppo spesso si dimentica di lui, pur sfruttandolo come risorsa soprattutto economicaPertanto rivendichiamo il riconoscimento della soggettività e dell’autonomia dello studente fuorisede e pendolare, portatori di necessità maggiori rispetto allo studente residente.Con questa petizione chiediamo all'A.T.A.C., in collaborazione con le istituzioni locali, Comune, Provincia e Regione, di abolire il limite di residenza nel comune di Roma e di età di 26 anni sugli abbonamenti ridotti, garantendo a tutti gli studenti -universitari e dell’A.F.A.M.- fuorisede, pendolari e fuoricorso